R. M. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Trento, S. G. e la Cassa Rurale di Moena, esponendo di essere stato truffato dal S., direttore della predetta Cassa, e dal presidente della stessa, i quali lo avevano coinvolto in un vasto complesso di operazioni finanziarie, apparentemente a beneficio di tale T. A. (imprenditore amico dell'attore, di cui garantivano la solidità economica), ma che in realtà tornavano ad esclusivo vantaggio della Cassa Rurale, verso la quale il T. era debitore di oltre un miliardo di lire.
Per effetto di tali manovre il R. era stato, insieme col T., sottoposto a un procedimento penale, che si era concluso con la sua definitiva assoluzione da ogni addebito. Nel frattempo però le operazioni suddette lo avevano condotto al tracollo finanziario: era stata infatti instaurata, per evitare il fallimento, una procedura di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, e il suo patrimonio, consistente in due aziende alberghiere ottimamente avviate, era stato liquidato.
L'attore chiedeva pertanto la condanna solidale dei convenuti al risarcimento dei danni tutti, morali e materiali, subiti a causa del dissesto, oltre che della ingiusta carcerazione.
La Cassa Rurale eccepiva la prescrizione del diritto al risarcimento e la carenza di legittimazione attiva, dovendosi ritenere tale diritto compreso nella cessione dei beni ai creditori. Nel merito deduceva che il R. era consapevole degli affari del T. e che i finanziamenti servivano a coprire gli assegni emessi del R. a favore del T. e delle sue società. Anche il S. proponeva analoghe difese.
Con sentenza non definitiva del 2 settembre 1995 il Tribunale ha dichiarato che l'attore non è legittimato a proporre la domanda di risarcimento del danno patrimoniale; ha rigettato le eccezioni di difetto della legittimazione attiva e di prescrizione riguardo alla domanda di risarcimento dei danni morali; ha rimesso le...
È preliminare, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., la riunione delle impugnazioni.
Col primo motivo, denunciando la violazione dell'art. 651 c.p.p.
(art. 360 n. 3 c.p.c.), il ricorrente principale sostiene che erroneamente la Corte ha negato efficacia al giudicato penale, sebbene questo abbia accertato che egli fu vittima degli artifici e raggiri perpetrati dal S. e dal presidente della Cassa Zanoner, ciò che lo rende danneggiato dal reato, anche se non enunciato nel capo d'imputazione e quantunque non si sia allora costituito parte civile.
Col secondo motivo, denunciando la violazione dell'art. 160 del R.D 16 marzo 1942 n. 267 (art. 360 n. 3 c.p.c.), contesta che, come affermato dalla sentenza impugnata, il danno da lui lamentato risalga a data anteriore alla sua ammissione al concordato preventivo.
Viceversa, ad avviso del ricorrente, il diritto ad essere risarcito delle conseguenze patrimoniali subite nacque, o quanto meno venne accertato, solo all'esito del processo penale che affermò la responsabilità esclusiva del S. e definitivamente mandò assolto il R., consacrandone irrevocabilmente la qualità di vittima e non di complice delle truffe. Se dunque all'epoca del concordato il R. non poteva ancora vantare legittimamente alcun diritto al risarcimento nei confronti dei convenuti, perché non ancora sorto, tale diritto non poteva dirsi compreso nel patrimonio ceduto ai creditori, il quale, come è noto concerne i soli beni già esistenti e non anche quelli futuri.
Col terzo motivo, denunciando la violazione dell'art. 43 del R.D. cit. (art. 360 n. 3 c.p.c.), rileva come, se è vero che nulla avrebbe impedito al liquidatore di negare il pagamento alla Cassa Rurale dei crediti da questa vantati o di chiedere alla stessa il risarcimento dei danni, esso R. poteva benissimo sostituirsi al liquidatore per la tutela dei suoi diritti, se quest'ultimo, come infatti è accaduto, non vi avesse...
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